L’ISPETTORE COLIANDRO (SERIE TV)
Le situazioni in cui Coliandro è implicato sono serie, dalla suspance serrata, alternano realistici momenti d’azione a scene da “detective-story” di serie A, senza forzature nella trama e con concessioni al romanticismo mai forzate, anzi sovvertite all’ironia che pervade il prodotto, e con soluzioni delle indagini logiche e affrontate con intelligenza. Si affrontano temi da classico noir come la sottile differenza fra delinquente e poliziotto dei bassifondi, l’errore dell’agente in azione, il traffico di droga come componente anomala ma “normale” della quotidianità dei bassifondi. In più gli autori hanno pervaso le puntate con citazioni cinematografiche provenienti da filmoni come “The Untouchables” di De Palma o classici del poliziesco come “Arma Letale”, complice il fatto che il personaggio di Coliandro è un cinefilo incallito, almeno nella sfera poliziesca (ha in casa poster dell’ispettore Callaghan e altri classici del genere). I Manetti Bros, dal canto loro, donano a serial il loro consueto tocco, anomalo e personale, grazie ad una regia che si rifà ai classici pulp americani con una toccatina di “regionalismo italiano” ispirata ai vari Umberto Lenzi e Fernando di Leo. Curano una veste tecnica interessante, girando in digitale molte scene d’azione negli interni (papà Micheal Mann ha fatto scuola…) e su pellicola sequente all’esterno, sfruttando tecniche come il “dolly”, la “carrellata”, la soggettiva e il “rallenty”. Lo shacker è riuscito, e così “L’ispettore Coliandro” evita attentamente di essere l’ennesimo clone dei film action americani, calibrando bene tempi e modalità e dell’azione (il tutto, chiaramente, senza raggiungere la perfezione). A condire l’operazione ci si mette una colonna sonora adatta al genere, firmata da icone del neo-rap “romanaccio” quali i Flaminio-Maphia e altri gruppi moderni. Si può non adorare il genere musicale (come il sottoscritto, che lo trova privo di mordente e a tratti ridicolo), ma credetemi, accostato alle fantastiche riprese dei Manetti riescono a donare uno stile anomalo ma ben riuscito al prodotto finale.
Buono anche il cast, i cui rappresentanti più illustri sono Daniele Morelli (già visto in “Distretto di polizia 5” nel ruolo del tenente Rea) che regala una performance eccellente, calibrata perfettamente fra l’auto-ironia e la drammaticità di un ruolo così “sporco” (un agente di polizia che lavora a stretto contatto con la criminalità “comune”), e Enrico Silvestrin, che dona una prova molto riuscita. Anche se, da questo punto di vista, si può avere da ridire: Morelli è perfetto, ha “la faccia giusta” per il ruolo, ha un tono di voce ammaliante (il più indicato per donare ironia e credibilità al personaggio), ma sarebbe stato ancora meglio impiegare Valerio Mastrandrea, giovane attore italiano dal talento innato. Altra scelta fantastica sarebbe stata quella di Ricky Memphis, se non fosse che il suo nome è legato a doppio filo al personaggio dell’agente Mauro Belli in “Distretto di Polizia”, ma in fondo Coliandro è ottimo anche così, è riuscito grazie all’ottima performance dell’attore protagonista.
In conclusione, sarebbe meglio buttare giù due paroline a proposito dell’impatto non indifferente che questa fiction dovrebbe avere sul panorama dei serial televisivi: in questi anni, anche un serial all’inizio realistico e adrenalinico come “Distretto di Polizia” è diventato monotono, moralista, carico di luoghi comuni, strapieno di tocchi kitch nella messa in scena e nella colonna sonora; insomma, un prodotto perfetto per il suo realismo e il suo rigore (il racconto della vita di un microcosmo come un commissariato, ricco di sfaccettature e di spunti di riflessione) è diventato un “normale” telefilm alla “Hunter”. Per non parlare, poi de “La squadra”, pompato e quasi irritante, compiaciuto della sua retorica troppo spinta. Gli unici della compagnia che sono riusciti a essere buoni prodotti (pur con i loro limiti) sono stati “Il commissario” di Rete 4, con Massimo D’apporto (inspiegabilmente fermatosi solo alla prima, indimenticabile serie) e naturalmente “Il Commissario Montalbano”, insuperato capostipite delle detective story televisive italiane, anche se molto particolare perché tratto dai libri di uno scrittore culturalmente così complesso come Andrea Camilleri (e quindi non prettamente “in genere”, bensì “semi-autoriale”). Anche “Il Maresciallo Rocca”, altro storico capostipite, è ormai diventato un prodotto piatto, noioso e “provincialotto”. In un periodo così cupo, dunque, “Coliandro” dona linfa ad un intero genere televisivo con il suo realismo, la sua singolare struttura e la sua ironia così “politicamente scorretta”. Speriamo solo che la Rai dia spazio a questa geniale creatura dei Manetti Bros e che gli autori riescano a gestire bene il serial nel corso degli anni. Intanto, godiamoci i (pochi) momenti di gloria che questo piccolo gioiello ci concede. Voto: 71/2.
Etichette: Thriller/Noir/Crime story