26.4.06

Vent'anni fa, in Ucraina.

Vent'anni fa, a Chernobyl.

Oggi ho visto un bel documentario di "Atlantide" su La 7 (secondo me una delle più belle trasmissioni storiche dal punto di vista tecnico, ma la trovo forse un pò troppo superficiale).

Su "Atlantide" veniva raccontata la storia della tragedia attraverso vari punti di vista. Da varie storie, attraverso diversi personaggi che all'epoca assistettero alla tragedia. Una di loro mi ha particolarmente commosso.

Un pompiere di Pripyat (la cittadina più vicina alla centrale nucleare), di cui non ricordo il nome, era sposato da due anni con Ludmilla che, nell'aprile del 1986, era incinta di otto mesi. Quando l'esplosione devasta il reattone n. 4 di Chernobyl, il pompiere viene chiamato con la sua squadra a spengere gli incendi. Ludmilla è a casa, a letto, ed assiste all'esplosione dalla finestra della loro camera. Entrambi i coniugi sentono all'improvviso un sapore metallico alla gola e una ondata di calore incredibile in faccia. Sono le radiazioni. Il marito di Ludmilla si ammala gravemente, perché direttamente esposto alle radiazioni. La moglie lo accompagna sino a Mosca, dove viene sottoporto ad analisi. Ma poco dopo, muore. Un mese più tardi, Ludmilla dà alla luce Natasha, già malata a causa della contaminazione dell'utero della madre. Sopravvive per cinque giorni dalla nascita. Poi muore. Basta. Kaputt. Chiuso. Dopo solo 120 ore di vita, una bambina si spegne a causa di una catastrofe naturale.

Questo non è un post solamente sulla drammatica memoria della catastrofe. Mi viene in mente anche una riflessione che covavo da tanto tempo. Quando un bambino muore a causa di avvenimenti come la Shoah, come Chernobyl, il Titanic, ossia quelle tragedie delle Storia che sono dimentate le tragedie umanitarie, come viene ricordato dalla Storia? O meglio, quel frammento di miscostoria costituito da una vicenda come quella sopra descritta, in cui un padre e una madre perdono una figlia a causa di una tragedia planetaria, è tanto importante quanto le altre migliaia di storie della tragedia, o no? Conta la memoria collettiva, o manca il ricordarsi di un giorno di scuola interrotto bruscamente dall'esplosione del reattore atomico? E' una domanda che non avrà mai risposta, penso. Ciò che è certo è che i bambini sono coloro sempre più colpiti dalla tragedia, cosiccome il nucleo familiare in generale. Il nucleo familiare coinvolto vive una doppia tragedia: non solo si ritrova davanti alla devastazione generale (che sia un genocidio, un naufragio, un'esplosione atomica), ma si trova anche a piangere la perdita di un padre, una madre o di un figlio.

Questo è uno degli elementi che più mi ha sconvolto della Shoah, ad esempio. Penso che riprenderò questo argomento con più ampiezza proprio in occasioni come il 27 gennaio, perché è veramente una delle tematiche legate alle grandi tragedie che non mi fa dormire la notte.

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